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Giocare fa bene sul serio …e il tuo gatto ti aiuta!

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A cura della Dr.ssa Elisa Silvia Colombo – Psicologa, Psicoterapeuta

Siamo nati per giocare. Noi e i nostri gatti.

Secondo il neuroscienziato Jaak Panksepp, infatti, il gioco fa parte dei sistemi emotivi di base comuni a tutte le specie di mammiferi e consente di sperimentare una serie di affetti positivi che comprendono stati di piacere, gioia, gratificazione e ricompensa.

Tra le molteplici varietà di gioco esistenti, lo studioso afferma che il “gioco sociale”, che prevede il coinvolgimento di due individui impegnati in scambi di tipo fisico (es. lotta, rincorsa, solletico, agguati), può essere considerato la manifestazione fondamentale di questa attività, basata sul rapido susseguirsi di contatti, provocazioni e immobilizzazioni che producono eccitazione ed euforia: vi ricorda qualcuno?! 

Come è facilmente osservabile, la propensione al gioco raggiunge il picco più elevato in termini di intensità e frequenza durante l’infanzia ed è in questa fase della vita che è stato maggiormente studiato dall’etologia e dalla psicologia, al fine di comprenderne il significato per lo sviluppo dell’individuo.   

Per i bambini, giocare è fondamentale e farlo in compagnia media l’apprendimento di diverse competenze proprie dell’intelligenza sociale, tra cui la reciprocità, la cooperazione, la capacità di comprendere gli stati emotivi degli altri e l’empatia, essenziali per un corretto sviluppo psicologico. A questo proposito, anche gli animali, soprattutto cani e gatti, possono essere preziosi compagni di gioco per i più piccoli, a condizione che le interazioni siano supervisionate da adulti in grado di intervenire per fornire al bambino occasioni di apprendimento di comportamenti prosociali. In altre parole, è importante che gli adulti mostrino al bambino come interagire correttamente e interrompano il gioco di fronte a comportamenti irruenti o fastidiosi per l’animale, per correggerli e consentire la prosecuzione di uno scambio che sia piacevole per entrambi i protagonisti.  

Ma cosa dire del gioco in età adulta? Da “grandi” la nostra propensione a giocare si riduce e il gioco viene spesso considerato un’attività fine a se stessa, senza uno scopo evidente, che viene quindi trascurata a favore di occupazioni il cui significato appare più concreto e immediatamente riconoscibile.  

Tuttavia, gli studi sul legame tra le persone e i propri gatti offrono prove di un’eccezione a questa tendenza. Ad esempio, in una ricerca che ha coinvolto 1591 proprietari di gatti, condotta in Australia, la maggior parte dei partecipanti riferisce di dedicare 45 minuti al giorno al gioco con l’animale, suddivisi in più sessioni di 15 minuti ciascuna. I giochi descritti sono molteplici: riporto, giochi con giocattoli rumorosi, a base di erba gatta o motorizzati, giochi con scatole, giochi con le mani, giochi con il laser o con dispositivi digitali, giochi con bacchette, giochi con il cibo, inseguirsi a vicenda e giochi di addestramento.  

Sebbene anche in questo caso l’età, sia del proprietario che del gatto, si confermi tra i fattori che più influenzano la quantità di tempo dedicata al gioco, gli autori hanno evidenziato anche altre variabili degne di nota: 

  • la personalità del proprietario e il temperamento dell’animale, in particolare la “giocosità”, ovvero la propensione al gioco e al divertimento di entrambi; 

  • la tendenza a prendere l’iniziativa per giocare, con un tempo più lungo dedicato al gioco laddove sia il gatto che il suo proprietario diano il via ai momenti di gioco: questo dato indica che giocare è più facile quando le persone e i gatti sono abili nel comunicare tra loro e, soprattutto, quando il proprietario è in grado di riconoscere e rispettare la volontà del gatto di essere o meno coinvolto nel gioco, così che entrambi possano partecipare attivamente e sentirsi al sicuro; 

  • la varietà dei giochi: la possibilità di variare tra più attività di gioco mantiene vivo l’interesse sia del gatto sia del suo proprietario, che così giocano di più. Secondo gli autori della ricerca, anche questa variabile potrebbe essere legata a migliori capacità di comunicazione tra la persona e l’animale, che possono così dare vita a un processo creativo in cui vengono di volta in volta stabiliti nuovi segnali e nuove regole per il gioco;

  • il numero di ore in cui il gatto è lasciato solo: più il proprietario resta a casa con il gatto, maggiore è la probabilità che si verifichino interazioni con l’animale, incluso il gioco;

  • la relazione tra il gatto e il suo proprietario: i proprietari più legati al proprio gatto tendono ad essere più predisposti al gioco che, a sua volta, può contribuire a rafforzare il legame.

Dalla ricerca si evince inoltre come il tempo dedicato al gioco possa essere considerato un indicatore di benessere: questa attività tende infatti a ridursi quando il proprietario manifesta forme di disagio legate allo stress per i troppi impegni, a una condizione di depressione o alla paura di farsi male.  

Gli autori si sono infine interrogati sui benefici del gioco, ipotizzandone il ruolo importante nel contribuire a costruire e a mantenere una relazione sana tra le persone e i loro gatti.  

Questo aspetto è stato approfondito anche da un altro studio, realizzato nel Regno Unito, che ha analizzato gli effetti di diverse attività in cui sono coinvolti gatti e proprietari, valutandone la correlazione con la percezione di benessere da parte delle persone.  Il gioco compare tra le attività menzionate con maggiore frequenza ed è correlato a un incremento della soddisfazione di vita per le persone e al miglioramento delle relazioni positive con gli altri, grazie al senso di condivisione con altri proprietari e agli spunti di conversazione offerti dalle attività con l’animale. Il tempo dedicato al gioco riduce inoltre il senso di colpa dei proprietari che devono passare del tempo fuori casa, lasciando solo il gatto, contribuendo quindi a mitigare lo stress legato a questo spiacevole stato d’animo. 

Ricordiamo infine che il gioco stimola, a livello cerebrale, il rilascio di sostanze capaci di indurre stati di benessere nell’individuo, tra cui la dopamina e gli oppiodi endogeni, e risulta perciò molto gratificante, anche in età adulta.  

Parafrasando Michel de Montaigne: “Quando gioco con il mio gatto, chi può dire se sto dando più beneficio io a lui o lui a me?” 

Bibliografia 

Henning, J. S. L., Nielsen, T., Fernandez, E., & Hazel, S. (2022). Factors associated with play behavior in human-cat dyads. Journal of Veterinary Behavior, 52, 21-30. 

Kogan, L. R., Currin-McCulloch, J., Bussolari, C., & Packman, W. (2023). Cat owners’ disenfranchised guilt and its predictive value on owners’ depression and anxiety. Human-Animal Interactions, (2023). 

Panksepp, J., Biven, L., Alcaro, A., & Clarici, A. (2015). Archeologia della mente: origini neuroevolutive delle emozioni umane. R. Cortina. 

Ravenscroft, S. J., Barcelos, A. M., & Mills, D. S. (2021). Cat-human related activities associated with human well-being. Human-Animal Interaction Bulletin, 11 (2), 79-95. 

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